MEDICO: ESCLUSIONE DA IRAP

Si ritiene che la categoria dei medici di medicina generale, nell’ambito dell’esercizio della propria attività convenzionale con il Servizio Sanitario Nazionale, non possedendo una struttura “autonomamente organizzata” così come ampiamente definita dalla Corte di Cassazione, sia esclusa dall’ambito di applicazione dell’Irap, mancando il presupposto impositivo di cui all’articolo 2 del D.Lgs. n.446/1997, così come interpretato dalla Corte costituzionale.

Ai sensi dell’articolo 2 del D.Lgs. n. 446 del 1997 “Presupposto dell’imposta è l’esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi…”.

La Corte Costituzionale con la nota sentenza n. 156 del 2001 ha stabilito l’assoggettabilità dei lavoratori autonomi all’Irap solo a condizione che siano dotati di una “autonoma organizzazione” per l’esercizio della loro attività. Pertanto, condicio sine qua non per l’applicazione dell’imposta è l’esercizio di una attività autonomamente organizzata.

Con riferimento al concetto di autonoma organizzazione, mancando una specifica norma che lo qualifichi, assoluta rilevanza acquista l’interpretazione offerta dalla Suprema Corte di Cassazione.

La Corte di cassazione ha riconosciuto (con la sent. n. 3678 del 2007) che “Il tributo colpisce una capacità produttiva impersonale ed aggiuntiva rispetto a quella propria del professionista perché, se è innegabile che l’esercente una professione intellettuale concepisce il proprio lavoro con il contributo determinante della propria cultura e preparazione professionale, producendo in tal modo la maggior parte del reddito di lavoro autonomo, è altresì vero che quel reddito complessivo spesso scaturisce anche dalla parte aggiuntiva di profitto che deriva dal lavoro dei collaboratori e dipendenti, dal numero e grado di sofisticazione dei supporti tecnici e logistici, dalle prestazioni di terzi, da forme di finanziamento diretto e indiretto…”.

A parere dei giudici della suprema Corte, è la presenza di questo “differenziale” di arricchimento prodotto dalla struttura organizzativa, rispetto a quanto riconducibile all’impiego di risorse individuali, a determinare l’assoggettabilità all’Irap.

L’Irap, sempre a parere dei giudici di legittimità (Cass. sent. n. 13811 del 2007) coinvolge una capacità contributiva “impersonale ed aggiuntiva” rispetto a quella propria del professionista e colpisce un reddito che contenga una parte aggiuntiva di profitto derivante da una struttura organizzativa esterna, cioè da un complesso di fattori che per numero, importanza e valore economico siano suscettibili di creare un valore aggiunto rispetto alla mera attività intellettuale supportata dagli strumenti indispensabili e di corredo al know-how del professionista (in senso conforme, tra le altre, Ordinanza Cass n. 2715 del 2008, Corte di Cassazione sentenze nn. 13570 del 2007, 19515 del 2009, 20001 del 2009, 17533 del 2009, 16855 del 2009, 16220 del 2009, 13038 del 2009, 12111 del 2009 e sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Torino 24.1.2008 n.16/32/08).

Tale fondamentale concetto è stato ribadito  nella sentenza della Corte di Cassazione n. 22022 del 12 giugno 2013 dove si afferma “…con giurisprudenza che può dirsi pacifica che l’IRAP coinvolge una capacità produttiva che può non essere compiutamente autonoma (cioè derivare da strutture autosufficienti) ma deve pur sempre essere “impersonale ed aggiuntiva” rispetto a quella propria del professionista (determinata dalla sua cultura e preparazione professionale) e colpisce un reddito che contenga una parte aggiuntiva di profitto, derivante da una struttura organizzativa “esterna”, cioè da “un complesso di fattori che, per numero, importanza e valore economico, siano suscettibili di creare un valore aggiunto rispetto alla mera attività intellettuale supportata dagli strumenti indispensabili e di corredo al know-how del professionista (lavoro dei collaboratori dipendenti, dal numero e grado di sofisticazione dei supporti tecnici e logistici, dalle prestazioni di terzi…) cosicché è il “surplus di attività agevolata dalla struttura organizzativa che coadiuva ed integra il professionista…ad essere interessato dall’imposizione che colpisce l’incremento potenziale, o quid pluris, rispetto alla produttività autoorganizzata del solo lavoro personale (Cass. Trib. n. 15754 del 2008; vedi da ultimo la sentenza n. 19769 del 28 agosto 2013)”.

In altri termini, la giurisprudenza ha ritenuto di attribuire alla struttura autonomamente organizzata utilizzata per l’esercizio dell’attività del libero professionista, non un valore in sé e dovuto esclusivamente alla mera esistenza, bensì una importanza legata alla attitudine di questa ad imprimere all’attività del lavoratore autonomo un “quid pluris” economicamente rilevante in termini di maggiore capacità di arricchimento che altrimenti il soggetto passivo, confidando solo sulle proprie risorse intellettuali, non otterrebbe. Soltanto al verificarsi dell’esistenza di questa peculiare forza e capacità, il fattore organizzazione si qualifica di quella “autonomia” che sancisce la capacità di integrare il presupposto del tributo. Al contrario, un’organizzazione, per quanto ampia e articolata nella sua struttura e che possegga esclusivamente la capacità di incidere in termini qualitativi sulle modalità di erogazione del servizio, senza per questo sviluppare alcun potenziale economicamente rilevante, non soddisfa i requisiti definitivamente indicati dalla giurisprudenza della Suprema Corte e non si qualifica quindi come presupposto d’imposta.

L’elemento determinante ai fini della qualificazione di autonoma organizzazione ai fini Irap è proprio la capacità (i.e. potenzialità) di una struttura organizzativa di creare nuova ricchezza. Soltanto in presenza di questa peculiare forza e capacità, il “fattore organizzazione” si sostanzia di quella autonomia necessaria per integrare il presupposto del tributo.

In altre parole, ciò che l’Irap incide, in sostanza, è un valore aggiunto alla cui produzione contribuisce una struttura organizzativa esterna al professionista, un quid pluris che potenzi ed accresca la capacità produttiva del contribuente.

Stabiliti i criteri in base ai quali individuare in astratto un’organizzazione configurabile come presupposto impositivo per l’Irap, si rende evidente l’inesistenza delle caratteristiche e dei requisiti fiscalmente rilevanti, così come definiti dalla giurisprudenza, della tipica struttura organizzativa con cui il medico di medicina generale esercita la propria attività.

Fiscalmente i redditi ritratti da questa categoria soggettiva sono trattati secondo la disciplina ordinaria prevista per i redditi di lavoro autonomo. Tuttavia a ben vedere, la struttura organizzativa con cui il medico di medicina generale esercita la propria attività possiede caratteristiche peculiari che la distinguono da quella tipicamente utilizzata dai lavoratori autonomi. Basti pensare a tale proposito, a tutti i vincoli convenzionalmente previsti per il medico nell’esercizio della propria attività:

  • obbligatorietà di presenza settimanale e numero di ore minime giornaliere nel proprio studio medico;
  • prescrizione e controlli circa i requisiti dei locali in cui si esercita l’attività e della strumentazione di dotazione;
  • obbligatorietà di appartenenza a una forma associativa complessa, come previsto dall’Accordo Collettivo Nazionale art. 13 bis. “comma 3, “Al fine di espletare i suoi compiti e funzioni nel rispetto dei principi sopra indicati, il medico svolge la propria attività facendo parte integrante di un’aggregazione funzionale territoriale di medici di medicina generale di cui all’art. 26 bis e opera all’interno di una specifica unità complessa delle cure primarie, quando attivata come previsto dall’art. 26 ter, che può comprendere la collaborazione anche di altri operatori sanitari e sociali”, e dall’art. 26 bis comma 2 : “I medici di medicina generale partecipano obbligatoriamente alle aggregazioni funzionali territoriali.”
  • obbligatorietà, in alcune Regioni, della presenza di personale di studio/infermieristico per poter esercitare l’attività nelle forme di aggregazione professionale previste dall’Accordo Collettivo Nazionale
  • limiti di anzianità per l’esercizio dell’attività;
  • monitoraggio e verifiche continue dell’attività convenzionata;
  • controlli, anche prescrittivi, con l’obbligo di adesione alle delibere regionali e aziendali circa l’indirizzo dell’attività;In questo contesto è agevole dedurre quanto diversa sia la struttura organizzativa del medico di medicina generale da quella del tipico libero professionista. Infatti, nell’esercizio della propria attività il medico è sottoposto a vincoli che ne limitano la libertà di impiego delle proprie risorse fisiche, intellettuali e patrimoniali.L’autonoma organizzazione dei medici di famiglia convenzionati con il Sistema Sanitario Nazionale in nessun caso è in grado di incrementare la capacità reddituale (quid pluris richiesto dalla Corte di Cassazione ai fini della qualifica di autonoma organizzazione utile ai fini Irap) poiché i compensi derivanti dalla loro attività non possono comunque superare il limite della “quota capitaria” a prescindere quindi dal valore e dalla quantità dei beni strumentali impiegati. In senso conforme i giudici di Cuneo secondo i quali, “qualunque sia l’organizzazione che eventualmente il medico intenda darsi, questa non produce vantaggi economici maggiori rispetto a quelli prodotti con le proprie capacità individuali…” (cfr. sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Cuneo n. 34 del 2010).In tema di assoggettabilità ad Irap dei medici convenzionati con il Sistema Sanitario Nazionale si è più volte espressa anche la Corte di Cassazione sostenendo che la presenza delle dotazioni indispensabili richieste dall’Accordo Collettivo Nazionale è indice di assenza di autonoma organizzazione ai fini Irap. A supporto di quanto sopra, nelle ordinanze nn. 29128 e 25910 del 2011 i giudici della Suprema Corte di Cassazione hanno confermato la irrilevanza, ai fini dell’assoggettamento ad Irap dei medici convenzionati con il servizio Sanitario Nazionale, della utilizzazione di uno studio dotato delle attrezzature richieste nell’Accordo Collettivo Nazionale.Da quanto sopra, si evince chiaramente come il medico di medicina generale convenzionato con il S.S.N. svolga un’attività professionale diversa rispetto a quella del libero professionista, diversità consistente nel disporre di una dotazione imposta dall’ACN che non può non essere considerata, come ormai riconosciuto dalla giurisprudenza sia di merito che di legittimità, nell’esaminare l’assoggettamento ad un tributo, quale l’Irap, che colpisce la capacità produttiva impersonale ed aggiuntiva rispetto a quella propria del professionista.Ciò in quanto, essa non può mai incidere in termini economicamente rilevanti sul processo di arricchimento del soggetto. Invece, la (eventuale e potenziale) consistenza e l’ampiezza dei mezzi e delle risorse impiegate dal medico incidono solo ed esclusivamente sugli aspetti qualitativi del servizio sanitario erogato a beneficio dei pazienti, nonché nell’ambito della responsabilità di una prestazione coscienziosa di rilevanza sociale. In concreto esistono pochi beni strumentali (essenziali) il cui valore storico è di € 2.504,80. Sicuramente un uso di questi beni strumentali, è prova che egli non impieghi beni strumentali eccedenti le quantità che, secondo l’«id quod plerumque accidit», costituiscono il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività anche in assenza di organizzazione Cass. Civ., 25 febbraio 2015, n. 3767.Da ultimo va considerata la sentenza pronunciata dalla Cassazione sezione V civile, del 28 maggio 2014 n.11919 che stabilisce come l’ammontare del reddito in sé considerato non è per nulla indice di autonoma organizzazione, mentre le spese per ammortamento di beni strumentali e per compensi a terzi, ove modeste costituiscono dato equivoco, non evincedosi né che le prime si riferiscano a beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile, né che le seconde siano attinenti a rapporti di collaborazione di tipo continuativo.Tale considerazione è stata recepita dalla stessa Agenzia delle Entrate, che anche nella Risoluzione N. 240/E del 21.7.2008 ha accolto la definizione : “…Le prestazioni rese dal medico di famiglia in favore dei cittadini utenti del servizio sanitario Nazionale trovano fondamento nel rapporto c.d. convenzionale esistente tra i professionista ed il Servizio Sanitario Nazionale, che in base alle disposizioni della legge 23 dicembre 1978, n. 833 (istitutiva del Servizio Sanitario nazionale), ha natura privatistica di prestazione d’opera professionale, svolta con caratteristiche di parasubordinazione (Cfr. Cass. Civ., Sez. Lavoro, ( aprile 2008, n. 9142; in senso conforme : Cass. Civ. Sez. Unite, 21 ottobre 2005, n. 20344).
  • Stando così le cose, si può concludere affermando che è soggetto passivo     dell’IRAP chi si avvale, nell’esercizio dell’attività di lavoro autonomo, di una   struttura organizzata in un complesso di fattori che per numero, importanza e   valore economico siano suscettibili di creare un valore aggiunto rispetto alla mera attività intellettuale supportata dagli strumenti indispensabili e di corredo al suo know how (si veda Cassazione 30753/11). Il lavoratore autonomo può essere escluso, invece, quando il risultato economico trovi ragione esclusivamente nell’auto-organizzazione del professionista o, in ogni caso, quando l’organizzazione da lui predisposta (in cui si comprende il personale) abbia incidenza marginale e non richieda necessità di coordinamento (si veda la sentenza della Cassazione 13326/13).
  • La categoria della “parasubordinazione”, pur non trovando alcuna classificazione nella disciplina fiscale, tuttavia è significativa della peculiarità della figura del medico di medicina generale che non possiede tutte le caratteristiche tipiche né del lavoro dipendente né del lavoro autonomo. Con ciò si spiega vieppiù, l’irrilevanza di un’organizzazione che se non sempre è significativa per i tipici lavoratori autonomi non lo è mai per coloro i quali hanno solo limitate caratteristiche dei liberi professionisti.
  • A quanto predetto è poi da rilevare che l’attività svolta nell’ambito della convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale viene esercitata, secondo quanto definito dalla Cassazione (sent. n. 10310 del 2002) in forma di “parasubordinazione”.
  • La VI sez. civile della Corte di Cassazione con la sentenza n. 26991/2014 del 04/12/2014 conferma con la sua pronuncia non esista l’autonoma organizzazione nemmeno in presenza di lavoratore con mansioni di segretaria “non può condividersi l’assunto (sul quale si fonda la difesa erariale) secondo cui incorrerebbe nel vizio di violazione di legge (art. 2 D.Lgs. 446/97)   la negazione del presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione in capo a un medico di medicina generale convenzionato con il servizio sanitario nazionale che si avvalga delle prestazioni di una lavoratrice dipendente addetta alla segreteria” figurarsi senza lavoratori e con beni strumentali modesti.
  • Le conclusioni di quanto sostenuto convincono definitivamente della non configurabilità del presupposto di applicazione del tributo in capo al medico di medicina generale in quanto l’organizzazione di cui dispone per l’esercizio della sua attività convenzionata non possiede in nessuna circostanza l’indefettibile requisito della “autonomia”.
  • Tali principi sono stati ribaditi anche nella sentenza n. 13048 del 24 luglio 2012, con la quale gli Ermellini hanno integralmente bocciato la tesi dell’Agenzia delle Entrate la quale sosteneva l’esistenza (nell’organizzazione dell’attività del medico) di beni strumentali quali il telefono, computer, auto e strumenti medici di diagnosi di valore superiore a quanto debba ritenersi indispensabile all’esercizio della professione medica, ed hanno direttamente deciso nel merito accogliendo il ricorso del contribuente. Si legge nella massima della importante sentenza citata che “in tema di IRAP, la disponibilità, da parte dei medici di base, di strumenti di diagnosi, per quanto complessi e costosi, non è idonea a configurare la sussistenza dei presupposti impositivi, poiché detti strumenti, quali che siano il loro valore o le loro caratteristiche, rientrano nelle attrezzature usuali, o che dovrebbero essere usuali, per i precisati professionisti, in quanto agli stessi si chiede di svolgere una funzione di “primo impatto” a difesa della salute pubblica”.
  • Si legge nella ordinanza n. 142 del 2010 della Corte di Cassazione che “la risposta favorevole al contribuente si ricava dalla stessa convenzione che qualifica gli arredi, le attrezzature prescritte come indispensabili per l’esercizio della medicina generale. Se un bene strumentale è indispensabile, deve ritenersi che risponda anche al requisito della minimalità, ove non siano dedotti in concreto costi eccedenti” (in senso conforme: Corte di Cassazione, ordinanza n. 10240 del 2010, ordinanza n. 8826 del 2010, sentenza n. 15440 del 2009, sentenza n. 17231 del 2009).
  • I medici di medicina generale, infatti, come detto, sono remunerati in base ad un compenso prestabilito attribuito in base al criterio capitario per ogni assistito, il cui numero, nella misura minima e massima, è previsto dalla convenzione: ciò significa che la retribuzione complessiva del medico di medicina generale oltre ad essere predeterminata è anche prevedibile nella sua quantificazione.
  • Sul punto, la Commissione Provinciale di Bologna, con sentenza n. 78 del 2011, ha affermato che “qualunque sia l’organizzazione che il medico convenzionato intende darsi, la stessa non adduce alcun incremento economico rispetto a quello prodotto dalla proprie capacità individuali, essendo inalterato il quantum spettante per ogni assistito secondo convenzione”.
  • Ciò comporta necessariamente una funzionalità dell’organizzazione di mezzi, personale e risorse economiche molto peculiare. In altri termini, è arduo rintracciare l’attitudine di un’organizzazione così strutturata a “potenziare la produzione di ricchezza….” (Ord. Cass. n. 2715/08) a vantaggio del professionista, ovvero l’esistenza di “un quid pluris…. in grado di fornire un apprezzabile apporto al professionista” (Cass.3676/07), quanto piuttosto è inevitabile concludere che “non si possa affermare la sussistenza di un organizzazione autonoma foriera di determinare un valore aggiunto tassabile” (CTR Piemonte n. 19/32/08).
  • Secondo la previsione convenzionale, come noto, i medici di medicina generale per l’esercizio della loro attività sono remunerati in base ad un compenso prestabilito attribuito in base al criterio capitario per ogni assistito. Inoltre, sempre secondo le prescrizioni della convenzione, è previsto un numero minimo e massimo di assistiti, cosicchè la retribuzione complessiva del medico di medicina generale oltre ad essere predeterminata è anche prevedibile nella sua quantificazione.

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